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  • Immagine del redattoreMarta de Santis

Val Dei Varri: un viaggio nel cuore dei Monti Carseolani

Aggiornamento: 3 giu 2020

August 4, 2018 |Marta De Santis


L’ultima frontiera dell’avventura si chiama Val dei Varri, fra i complessi carsici più grandi d’Italia, un vero e proprio canyon che si snoda tra le viscere dell’omonima montagna. Le acque del torrente, dapprima inghiottite da un immenso portale,  precipitano poi in una tumultuosa cascata, preludendo ad ambienti sotterranei sorprendenti e maestosi. Frequentata fin dall’ eneolitico, la grotta ha però mantenuto nascosto il suo immenso sviluppo fino al 1959, anno della scoperta del suo secondo ingresso, ad opera dello speleologo  Gui Van Den Steen. Da questo momento in poi si avvicenderanno nell’esplorazione della grotta, i più prestigiosi gruppi speleo della capitale, come lo Speleo Club Roma (‘62), Circolo Speleologico Romano (’85), e Gruppo Grotte Roma Niphargus (’88). La puntata esplorativa di questo ultimo gruppo portò alla scoperta dell’immenso salone “Giulio Verne”, ricco di concrezioni di rara bellezza.





Il 27/7/18 grazie alla disponibilità del gestore della grotta, noi di HydroVert&Trek abbiamo ripercorso, l’intero sviluppo della cavità , guidati proprio da colui che più di 30 anni fa, forzò un’improbabile strettoia rivelando alla comunità scientifica l’esistenza del salone Giulio Verne, e cioè Lorenzo Grassi giornalista, scrittore, ricercatore storico, nonché personalità di rilievo del mondo speleologico romano. A rinforzare il gruppo, erano con noi anche due tecnici della squadra Speleo Alpino Fluviale (S.A.F.) dei VVF. L’accesso alla grotta avviene tramite la gradinata del percorso turistico, che affaccia su un immenso salone di crollo. Da qui bisogna scendere una scarpata ripidissima per giungere al letto del fiume, che da li in poi è diventato il nostro filo di Arianna.


Una sequenza di cascate mette subito alla prova la nostra capacità di speleologi verticali. La grotta infatti non è mai monotona, ma sorprende con la sua varietà di forme che di volta in volta si presentano ai suoi ospiti: lunghi lagoni da passare a nuoto, si avvicendano a rocce erose in

cerchi perfetti, marmitte sfondate e splendenti concrezioni di calcite.





Dopo una serie di salti e tratti a nuoto giungiamo alla grande sala del “Lago della Bussola” dove una corda che penzola dall’alto soffitto, ormai anch’essa semi concrezionata, è la testimonianza dell’esplorazione dei rami superiori degli anni ’70.

A questo punto il frastuono dell’acqua che ci ha accompagnato per tutto il nostro percorso cessa improvvisamente ed a valle del lago il fiume scompare.

Ritrovarlo non è stato semplice data la presenza di due rami. Dapprima percorriamo infatti un ramo superiore che però dopo poco chiude, successivamente ci  dirigiamo vero quello inferiore che si sviluppa in un lungo laminatoio piuttosto impegnativo da attraversare, per via di lastroni di calcare liscissimi e molto scivolosi intervallati da minacciosi crepacci. Qui ci siamo mossi con molta cautela, sperando di essere questa volta sulla strada giusta.

Una volta arrivati sul fondo del laminatoio, che sembra anch'esso concludersi li, un fievole suono dell’acqua che scorre ci  indica che siamo sulla strada giusta.

Proseguendo verso destra dopo poco lo scroscio dell’acqua si fa più intenso e riusciamo ad intercettare nuovamente il fiume dall’ alto di una frattura nella roccia. Qui infatti notiamo un vecchio armo sulla parete, ma riteniamo più prudente doppiarlo con uno nuovo, così come abbiamo fatto in precedenza per altri salti.




Dopo questa calata la grotta si fa semi orizzontale. I tratti a nuoto sono molto lunghi però le forme che incontriamo sono una continua scoperta. Particolarmente suggestivo è il corridoio “ogivale”, con la sua forma apparentemente opera di un estroso architetto, dal quale scendono enormi “lampadari” concrezionati.

Anche nei luoghi più profondi della grotta notiamo la presenza di numerosi girini (probabilmente trasportati dalla corrente), ma  rimaniamo ugualmente sorpresi quando incontriamo una simpatica rana al centro di un nido di legnetti ed un grosso rospo. Questi due simpatici “troglofili” (ormai per forza di cose troglobi) molto probabilmente per la prima volta nella loro vita fanno conoscenza con la luce, ed infatti restano immobili prestandosi gentilmente alle nostre macchine fotografiche.






Raggiungiamo il fondo della grotta al salone dell’Acqua Ferma, dove il fiume sifona e scompare definitivamente nella roccia.

Da anfibi riconquistiamo la statura eretta e cominciamo a percorrere il ramo fossile. Il pavimento è interamente ricoperto di vaschette concrezionate, che alla luce delle nostre lampade si accende in un caleidoscopio di candidi sbrilluccichii.

Incontriamo due grandi concrezioni, che “prossimamente” diventeranno splendide colonne.




Mentre procediamo, Lorenzo scorge le ‘epigrafi’ in nero fumo datate 1987, che testimoniano la sua esplorazione di 31 anni prima, e ci sembra visibilmente emozionato.

Come un segugio si mette subito alla ricerca del passaggio per giungere al famoso Salone Giulio Verne e dopo poco lo rintraccia.



Qui in una piccola sala, si presenta davanti ai nostri occhi una colata di calcite, simile ad un enorme dolce alle meringhe, dove alla sua sommità si restringe in un sottile strettoia che sembra messa li come guardiana del tesoro più prezioso della grotta.

Paolo, sicuramente il più allenato, comincia ad arrampicarsi sulla colata e pian piano ad insinuarsi nella fessura. Penetra con la testa e la braccia e si incastra con il torace per qualche cm, ma la muta che ha indosso è troppo spessa. Anche pochi mm qui fanno la differenza. Tento anch'io e sento che con un altro indumento più sottile addosso potrei passare, ma la sensazione di schiacciamento al torace, con la pesante muta che mi ha protetta finora, è veramente troppa e decido di tornare indietro. Impensabile anche spogliarsi della muta, perché i cristalli di calcite che ricoprono la colata graffiano tantissimo. Effettivamente Lorenzo ci racconta che quando lui stesso 31 anni prima forzò la strettoia, indossava una sottile tuta molto liscia.

Alla fine, dopo altri tentativi, decidiamo con molta riluttanza di rimandare l’impresa alla prossima esplorazione. Per il momento il maestoso salone rimane inviolato dal 1987!



Riprendiamo la via del ritorno, anche perché sappiamo che la percorrenza sarà lunga. Fatichiamo nel risalire specialmente nel tratto dei lastroni scivolosi, carichi anche del sacco corda che avevamo lasciato all’andata.

Ora la parola è solo ai bloccanti meccanici e alla nostra resistenza fisica. 


Dopo l’estenuante risalita dell’immenso crollo iniziale della grotta, finalmente raggiungiamo le scale ed riemergiamo alla luce del crepuscolo, dopo circa  8 ore di permanenza in grotta.

Stanchi ma felici, diamo un arrivederci alla grotta, fortemente motivati a tornare per poter finalmente ammirare e documentare le meraviglie del salone Giulio Verne.



#esplorazione #speleo #cavecanyoning

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